"Esercizi sulla bellezza"

Il 12 dicembre 2008, presso l'Open Colonna del Palazzo delle Esposizioni a Roma, il Centro Sperimentale di Cinematografia - Scuola Nazionale di Cinema ha reso un omaggio all'arte di Piero Tosi, costumista di fama mondiale e - da due decenni - docente della Scuola Nazionale di Cinema. Al centro dell'evento la presentazione del volume fotografico "Esercizi sulla bellezza. Piero Tosi e i seminari di acconciatura e trucco al CSC", curato da Stefano Iachetti e Alfredo Baldi, realizzato dalla Divisione Biblioteca ed Editoria del Centro Sperimentale di Cinematografia in coedizione con Electa.




(ph. Stefano Iachetti)
(costume realizzato in Sartoria Tirelli su disegno di Maurizio Millenotti)


Il libro racconta il lavoro con gli allievi del Centro Sperimentale di uno degli artisti più

"Esercizi sulla bellezza" - il contributo di Lea Gramsdorff

Lea Karen Gramsdorff
Tra la palpebra e il sopracciglio


Incontrare Piero Tosi è stato per me molto importante. Ho frequentato il Centro Sperimentale per caso; partecipai alla selezione perché un amico, con il quale avevo girato alcuni cortometraggi, voleva seguire il corso di Regia e mi convinse a provare insieme il concorso, ma a me non interessava il cinema, volevo fare teatro. Non mi consideravo carina, né soprattutto fotogenica: non avevo mai pensato a me come a una figura sullo schermo! Tosi è stata la prima persona che mi abbia fatto sentire bella. È stata una sensazione completamente nuova, perché mi riconoscevo, sì, caratteristiche positive, ma la bellezza mi era sconosciuta. È stato uno stravolgimento. Grazie a Tosi ho scoperto che quelli che consideravo difetti – la fronte troppo alta, il viso troppo pallido… – possono essere invece caratteristiche di bellezza, di una bellezza “antica”, che forse oggi non si concepisce più, ma è stato così bello scoprirla! Perciò mi sono sottoposta volentieri alle torture del costume d’epoca, alle lunghe ore di preparazione. Ho imparato a soffrire in silenzio e a provare il piacere di saper portare il busto, di indossarlo per lungo tempo. È stata un’esperienza importante. Ho imparato da Tosi cose fondamentali sul portamento, su un certo modo di guardare, di sentire il costume, di sentirselo addosso. Avevamo tutti grande soggezione: ascoltavamo tutto ciò che diceva annotando mentalmente ogni parola. Sono parole che ricorderò per il resto della vita! La cura e l’attenzione con cui mi ha seguita negli anni del corso mi hanno fatta sentire privilegiata, mi hanno resa felice.
A volte ritoccava lui stesso il trucco, con un minuscolo pennellino che strappava dalle mani del truccatore. Diceva che il mio volto è come una tela bianca, una maschera da decorare, si può trasformare con due linee di trucco. Per lui la fotogenia – non so se nel mio caso o in generale – è lo spazio tra la palpebra e il sopracciglio. Uno spazio che i truccatori moderni tendono a riempire, dicono, “per tirare fuori l’occhio”. Secondo me invece l’occhio è bello così, appena percettibile.

L’operazione nel complesso è stata piuttosto complicata. Non si poteva lavorare prima all’acconciatura e al trucco e poi infilare il costume perché si sarebbe distrutto tutto, né indossare subito il costume perché si sarebbe sporcato; quindi si procedeva per gradi. Si metteva una parte del costume, magari il busto, e si cominciava con la base del trucco, poi un altro elemento e così via fino ai ritocchi sul set fotografico. Pur avendo lavorato in vari film in costume, non mi è mai capitato di seguire una preparazione così accurata, solenne, perché oggi i tempi del cinema non lo consentono. Essere sul set fotografico durante un seminario di Tosi era come essere dentro un’opera d’arte. Ho molti ricordi del mio primo seminario. Lavoravamo su figure femminili di fine ‘700 e, oltre al busto, avevamo a che fare con gonne ampissime, molto lunghe, con le quali è difficile muoversi senza inciampare. Per salire le scale afferravamo tutte istintivamente la gonna da sotto e la tiravamo su perché non si sporcasse, ma lui ci ammoniva, perché «una vera regina non si preoccupa di sporcare l’orlo della gonna». Quando mi capitò poi di interpretare personaggi regali, queste parole furono di grande aiuto. Ricordo anche che Piero non si stancava di dirci che bisogna pensare sempre davanti alla macchina da presa, mai avere la testa vuota! Bisogna pilotare il pensiero del personaggio, non dell’attore, non bisogna mai essere assente come personaggio. Non so se Tosi ami molto gli attori, o se ci veda solo come possibili oggetti da trasfigurare, amandoci per la nostra disponibilità.





(tratto da: "Esercizi sulla bellezza. Piero Tosi e i seminari di acconciatura e trucco al CSC", 
a cura di Alfredo Baldi, Stefano Iachetti - Electa, 2008)

Autoritratto in faccia al sole


Lo spettacolo "Autoritratto in faccia al sole" è un adattamento teatrale delle "Lettere al fratello Theo", scritte da Vincent van Gogh e destinate all'amato congiunto. Esso vuole essere un omaggio all'artista olandese di cui si intende divulgare l'universo umano e artistico meno conosciuto e che riguarda la sua sensibilità verso l'amore, l'amicizia e la natura.
"Autoritratto in faccia al sole" racconta di un pittore dei nostri giorni che nella solitudine del suo studio è impegnato a leggere il libro delle lettere di Vincent van Gogh. Durante la lettura il pittore, coinvolto emotivamente da argomenti che riguardano la condizione universale dell'artista, viene visitato da tre figure immaginarie, personificazioni di tre fattori ricorrenti nell'esistenza adulta di

Fango! Mostra di solidarietà

L’alluvione del 22 ottobre 2008 ha lasciato lutti e distruzione fisica e morale.
Artisti all’in/visibile offrono le loro opere come compartecipazione sentimentale al dolore e come partecipazione concreta alla ricostruzione. Nasce così, istintivamente, secondo la priorità “in primo luogo vivere, poi fare filosofia”, la mostra di solidarietà “Fango!”. Tutto il ricavato derivante dalle opere andrà in beneficenza alle persone colpite.





autori: Annalisa Achenza, Franco Agus, Marta Anatra, Gianni Atzeni, Ermenegildo Atzori, Barbara Ardau & Domenico Di Caterino, Luca Becciu, Alessandro Biggio, Frank BlindBlues, Anna Maria Caracciolo, Federico Carta, Paolo Carta, Claudia Castangia, Gisella Congia, Massimo Corazza, Carlo Crasto, Giuseppe Cucca, Luigi De Giovanni, Attilio Della Maria, Maria Luisa Delzotto, Antonello Dessì, Simone Dulcis, Elisabetta Falqui, Sonia Floris, Marta Fontana, Lea Gramsdorff, GruppoAnestetica (Pili - Serra), Laboratorio Raku, Caterina Lai, Maria Lai, Maria Sofia Lai, Angelo Liberati, Gabriella Locci, Monica Lugas, Lalla Lussu, Susanna Manca, Alberto Marci, Anna Paola Marturano, Lorena Mastino, Italo Medda, Franco Meloni, Paolo Ollano, Antonello Ottonello, Emanuela Paba, Primo Pantoli, Giuseppe Pettinau, Antonello Pillittu, Anna Maria Pillosu, Gianfranco Pintus, Enrico Piras, Giangiuseppe Pisuttu, Marilena Pitturru, Giorgio Plaisant, Paola Porcedda, Andrea Portas, Francesca Randi, Renè Renink, Rosanna Rossi, Luisa Schirru, Pinuccio Sciola, Angelo Secci, Maria Spissu Nilson, Gemma Tardini, Pia Valentinis, Beppe Vargiu, Theo Viana

Fango!


in/visibile
Via Barcellona 75 - Cagliari

Eccetera Eccetera perché la minestra si fredda



Dal 16 maggio il Laboratorio Raku ospita l'esposizione intitolata Eccetera Eccetera perché la minestra si fredda curata da "Il terzo uomo".

Lea Gramsdorff, Giorgia Atzeni, Eva Rasano, Pia Valentinis e Silvia Corda sperimentano l'illustrazione su mattonelle di ceramica sotto la suggestione di alcuni scritti di Leonardo da Vinci, poliedrico e multiforme Genio del Rinascimento italiano.

Infatti tra le innumerevoli opere letterarie e scientifiche conservate nei famosi codici leonardeschi, si trovano anche aforismi, apologhi, favole morali e brevi racconti. Sono queste storie e micro-favole a fornire un ottimo pretesto alle cinque illustratrici: spunto esemplare per creare una serie di tavole ceramiche, in cui l’universo animale sembra essere il protagonista indiscusso. Vengono dunque raffigurate/trasposte sul supporto ceramico le curiose vicende di topi, formiche e alberi parlanti, manguste e coccodrilli, ragni e pesci, creature che, d'acchito, abitano un mondo dominato da una spietatezza singolare. Gli episodi narrati ci appaiono tragici, se presi singolarmente, ma con effetti involontariamente comici se considerati nel loro insieme, nel loro accumulo di sciagure.

Casi e Isolati

Lo Spazio P, nella sua nuova sede di via Napoli, ospita la seconda personale di Lea Gramsdorff che, dopo aver investigato l’urbanità marginale della vita contemporanea, presenta una raccolta di Casi e isolati (come suggerisce il titolo), nella quale si sgranano visioni e frammenti di una socialità difficile e leggera, claustrofobica e libera.
L’opera di Gramsdorff si sviluppa sul piano orizzontale, salta da una tela all’altra come incapace di rimanere limitata ai confini del quadro e approda a una raccolta “non gerarchica” della società contemporanea fatta di cuori d’ex voto, finestre aperte di solitudini e vicinato, isole di reclusione, commensali senza volto rigonfi nell’orgoglio della cravatta d’ordinanza, madonne fumatrici. Casi

Sulla Stessa Barca



È stata inaugurata venerdì 1° febbraio alle ore 18 nel Centro Comunale d’Arte e Cultura Il Lazzaretto la manifestazione Sulla stessa barca - Sound Art Show, progetto ideato dall'associazione culturale Artegiovane e sostenuto dalla circoscrizione n. 5 del Comune di Cagliari.

“Eccoli, i clandestini dell'arte, protagonisti di uno sbarco in massa nel capoluogo, provenienti da paesi diversi, portatori sani di un temutissimo morbo (il morbo della creatività?), e per questo costretti alla quarantena del lazzaretto”.

Nell'ampio cortile del Lazzaretto e in una sala adiacente, sono ospitate una moltitudine di creazioni, semplici ed essenziali: scultura, pittura, fotografia, video ed installazione.
È previsto anche un intervento sonoro costituito da un collage di composizioni che i musicisti e

La Cagliari di Lea

Uno sguardo settentrionale

(testo di Giorgio Pellegrini)

Innanzitutto è uno sguardo dall'alto. Altitudine statica però, contemplativa e concentrica di un mandala o di un oblò di dirigibile o di una mongolfiera appena spostata da zefiri gentili, più che dinamica e aeropittorica visione futurista sfrecciante.
Non insomma - come si dice - a volo d'uccello Lea Gramsdorff vede le cose e le disegna colorate ma forse meglio, a sogno di volatile trasognato, di un Garuda che plana lento e oppiaceo tutt'intorno o di quel suadente Loplop, creatura volante dallo sguardo ceruleo dell'avifauna surreale del grande Max Ernst.
E in alto poi, che ci piaccia oppure no, c'è il nord o settentrione. Di là viene ed è sempre venuto il brivido dopo il tuono, le fantasie romantiche e tutti i colori della notte e dell'anima. Caleidoscopio di emozioni che mutano la realtà senza cancellarla, fondo di bottiglia come una

"Il limite" - Sardegna Andata e Ritorno

(testo tratto dall'intervista condotta da Clarita di Giovanni per la serie "Sardegna Andata e Ritorno")


Questo è un po' un discorso sui limiti che una persona che non è nata e cresciuta in Sardegna, che non ha l'isola geneticamente dentro, secondo me non riesce a metabolizzare così facilmente come chi ci è nato. Insomma col mio lavoro ho bisogno di confrontarmi con il resto del mondo, con quello che si fa ovunque, ed effettivamente la Sardegna non è un buon trampolino di lancio. Bisogna prendere una grandissima rincorsa perché sennò rischi di finire a mare. L'idea di partire da casa mia con la macchina e di non poter andare in qualsiasi direzione, est, ovest, nord, sud, senza limiti, ma di finire sempre in qualche modo a mollo mi turba, sì, mi turba.


È un posto confortevole dove vivere. Alla fine ci si confronta sempre in pochi, ci si misura con le persone che si conoscono. Questo da una parte è rassicurante, e capisco che per molti artisti sardi sia una certezza, che poi faccia anche paura uscire da questo meccanismo, da questo microcosmo "isola". Non mi dispiace la quotidianità, sento il limite del confronto. Non è una questione di poter prendere l'aereo, di essere una società mobile, perché poi alla fine partire da qua è sempre molto faticoso. Non tanto per il fatto dell'aeroporto, del check in, del fare i biglietti, dei costi, è proprio che ogni volta è una partenza, non è un mettersi in viaggio semplice, è un lasciare qualcosa e poi un ritorno, e quindi ogni volta è collegato a un po' di sofferenza. 
Non posso dire oggi di essere infelice di vivere qua. Come artista però ne risento, perché qui ho pochissime opportunità: il cinema è molto autoreferenziale, un cinema che parla ancora della Sardegna, molto vincolato alla sua matrice regionale, e quindi per me non c'è spazio, è ovvio, sono fuori ruolo. 
Il fatto di non confrontarmi come facevo un tempo con persone sempre nuove, con un grande movimento ideologico anche internazionale, avendo lavorato anche con molti registi o attori stranieri, ecco, qua mi manca un po'. C'è un po' una povertà nel confronto. La “new age” sarda c'è e l'ho vista anche evolversi sotto i miei occhi, perché sono qui da sei anni ed effettivamente è successo molto: il cinema si è svegliato, ha avuto una grossa spinta, c'è una certa competizione - che è salutare - tra i registi sardi, sono nati tanti scrittori, tantissimi festival, hanno aperto molte gallerie, si sta cominciando a creare un certo movimento. 
La cosa che trovo sempre un po' strana è appunto che gli artisti di qua si considerino comunque sempre dei registi sardi, degli scrittori sardi, dei pittori sardi. Questo lo trovo strano. Sarà che io sono una persona sradicata, sono tedesca ma sono nata in Italia, non ho mai avuto delle radici, che è la cosa che invidio di più ai sardi. Sì, forse c'è anche un po' di invidia in questo. Per cui credo che l'attrazione per questa terra sia nata anche da questo motivo, dall'essere una persona che non ha casa, non ha una terra che le appartiene. Ne ho sofferto sempre moltissimo da piccola e credo che anche il fatto che mi sia innamorata di un uomo sardo abbia a che vedere con questo, con l'attrazione verso questo radicamento, ho voglia di radicarmi da qualche parte. 
Però, per un artista credo sia comunque fondamentale tenere alto un respiro universale. Credo che questo appoggiarsi artisticamente alle proprie tradizioni e alle proprie radici sia un buon punto di partenza, ma non ci si può fermare a questo. 
Devo dire comunque che la Sardegna ha una sua magia assoluta che mi ha attirata, e non penso di essere qua per caso. Credo che ci sia sempre un destino per cui capitiamo in un posto, non è solo una scelta passiva il fatto di essere rimasta qua. Credo che ci sia qualcosa che devo ancora scoprire del perché sono capitata qua, c'è sicuramente un motivo buono.

Sardegna Andata e Ritorno



Sardegna, andata e ritorno” è un’antologia di ritratti, e insieme una mappa di ciò che c’è e si muove oggi dentro e fuori “il continente sardo”.

100 testimoni si raccontano, attraverso la loro ricerca, il loro vissuto, l’arte, la scrittura, la musica, il cinema. A volti noti e acclamati si alternano talenti più nascosti, giovani in formazione nella capitale, viaggiatori instancabili e altri che dalla Sardegna non si muovono quasi mai.




Il racconto si svolge attraverso i suoi protagonisti, senza voice over o interviste e si sviluppa nel confronto, nel filo che lega i ritratti dei personaggi l’uno all’altro, all’esperienza che evocano e alla storia del territorio e della loro cultura.