Al Ghetto arriva "A Place for Art"

Alessandra Menesini
(L'Unione Sarda, 28 giugno 2020)  

Un tetto per gli artisti, quello bellissimo del Ghetto di Cagliari. Si intitola “A Place for Art” la rassegna curata per Consorzio Camù da Simona Campus e Efisio Carbone: inaugurata ieri, trasforma l'antica caserma in una fucina. Iniziativa concreta e utile, un'amabile rivoluzione rispetto ai canoni museali, che mette insieme tre autori e li fa lavorare live.

Sono Simone Dulcis, Lea Gramsdorff e Francesca Randi i primi tre coinquilini ospitati nel Centro Culturale Comunale fino al 26 luglio. Per loro, vaste pedane coperte dalla plastica, tavoli sui quali armeggiare e prendere il caffè, bianchi pannelli da riempire di segni e tutti gli arnesi del mestiere. Nonché, per ognuno, l'allestimento di un buon numero di opere scelte che raccontino, a chi li conosce e anche a chi non li conosce, il loro fare e pensare. A Simone Dulcis, abituato all'uso di solventi e di altri elementi tossici, è concesso di agire all'aperto e l’aperto in questo caso è una magnifica terrazza sul mare. Quanto alla sua produzione, più e meno recente, è allogata, con un piacevole disordine, nei locali adiacenti. Lea Gramsdorff e Francesca Randi si dividono l'immenso salone del piano medio del Ghetto ma non si sentono strette in questo spazio luminoso dall'altissimo soffitto.

La pittrice (e attrice) e la fotografa, a stretto contatto visivo. Lea Gramsdorff ha radunato le sue carte geografiche e le sue foglie della memoria, certe piccolissime cornici, certi quadri di delicata stesura. È pronta a usare i materiali davanti ai visitatori e a parlare, rispondere, spiegare tecniche e intendimenti.

Francesca Randi si è portata appresso uno stand con appesi le maschere e i vestiti adoperati nei suoi set. Chiederà alle persone di posare, forse di infilarsi uno di quei costumi di scena, oppure le riprenderà così come sono. Piazzate, pare sicuro, su un romantico fondale azzurro con rose e ramoscelli che sembra rinnegare le atmosfere dark delle sue serie precedenti. È l'imprevisto, l'elemento invisibile ma importante di una mostra in movimento, non si sa cosa nascerà dall'incontro - fissato dalle 18 alle 21, tutti i giorni tranne il lunedì - tra professionisti e viandanti. I tre ospiti si pongono con curiosità davanti alla situazione che li vedrà in una dimensione pubblica. Mi mancherà la solitudine, dice Simone Dulcis. Privazione compensata dal muoversi in un ambiente di grande fascino architettonico. Abitare il Ghetto, per quanto temporaneamente, significa accennare con garbo al generale e diffuso problema del reperire e pagare uno studio. Di solito errabondi, costretti a traslochi complicati dalla gran mole delle opere accumulate o a sistemazioni di fortuna, gli artisti hanno come primo bisogno un luogo in cui creare. E se sentono parlare della Manifattura Tabacchi, grande come un villaggio e ventilata sede di mai concessi atelier, sospirano.

Tra i prossimi nomi, in un avvicendamento che si concluderà il 18 ottobre, quelli di Federico Carta e Davide Volponi. Gli altri sono da definire e certo non mancheranno le adesioni a una proposta fattiva e in qualche misura sperimentale. Come requisiti sono richiesti la capacità di collaborare e la fiducia reciproca. Nonché una buona dose di concentrazione per non farsi distrarre dai colleghi. Dopo l'isolamento, la convivenza. Regolata, ovviamente, dalle severe norme anti pandemia.



Ingresso consentito a quindici soggetti ogni ora, gradita e consigliata la prenotazione tramite il numero 0706670190. Adelante, insomma, con juicio, come scrisse il Manzoni, per una riapertura prudente.