La Cena

Un invito a cena senza delitto
di Roberto Silvestri
(il manifesto, 27 novembre 1998)


Invito a cena, senza delitto. Non c'è azione e men che mai azione cruenta, non ci sono «punti esclamativi», come direb­be Ettore Scola, in questa sua suite «corale» e satirica, La cena, due ore a origliare tra i tavoli e la cuci­na di un ristorante romano medio (quelli dagli odori indelebili), cer­cando di afferrare tra le conversazioni serie, gioconde, commuo­venti, «con cellulare» e facete di padri e figli, donne e amanti, amiche e clienti solitari, turisti corea­ni e loro Polaroid, camerieri e vi­rago «single», padrona e «habi­tué», capocuoco e sguattero nero, qualcosa di banale, sorprendente, spiritoso o profondo sull'Italia di ieri, oggi e domani.
La cena è un inno al virtuosi­smo della lavorazione in studio e alle maestranze romane, con ben 40 attori più star perfette come no­te mozartiane (Vittorio Gassman, Fanny Ardant, Stefania Sandrelli, Giancarlo Giannini), un copione meticoloso, scritto a 8 mani, presu­mibilmente a
tavolino, con coperti. Però. Pare che inventarono «Mtv», fase suprema della tv e del telecomando perso­nalizzato, proprio per farla finita con tutte quei convivi atroci e patriar­cali, in casa o fuori, con verifica dei poteri incor­porata (e altri gretti sadismi borghesi), umilia­zione del timido, arro­ganze dell'egocentrico, sfoggio di citazioni lati­norum (ce ne sono an­che qua, ovviamente) per titillare i pubblici d'essai e del Biscione (dove La cena sarà in prima serata): ed ecco che Scola invece ci dice no, basta con l'istupidimento da mass-me­dia, stop alla disintegrazione del­la famiglia (lo urla anche Spike Lee, no?). Se solo si riuscisse a parlare di più, invece, a parlarci di più. Meglio farsi quattro chiac­chiere. Resettiamoci: impariamo a ascoltare gli altri, i giovani, dice Scola, sensibili, attenti a ciò che si dice, sono «ascoltatori professio­nisti» (ma di che? Dei Placebo, non certo delle trovate scolastiche tipo: «c'è dello stronzo in cia­scuno di noi». Mica sono al gover­no, i teenagers, e neppure nei go­verni ombra). Conversare - vec­chio tormentone del produttore francese Silberman - è Europa, cultura; fuggire «on the road» è America, aridità di spirito, pop corn individualista, invece che comunitarismo matriciana.
Lea con Stefania Sandrelli e Vittorio Gassman
Lea con Stefania Sandrelli e Vittorio Gassman
Sorge un dubbio. Il film sembra sceneggiato - se seguite bene il tor­mentone popperiano di Eros Pa­gni o vagliate le variazioni sull'evasione fiscale - studiando troppo il format «Maurizio Costanzo Show». Il frammentar pro-spot, il livello dei discorsi «privati», la qualità della chiacchiera «civile», perfino il tono dell'indignazione politica non supera, in decibel, quelli di Mughini o di Pisanu o di D'Alema quando ghigna di com­mozione per i curdi. Quasi quasi, a sentir le lamentazioni di Pagni sulle 35 ore, ritroviamo radicale anche Bertinotti.


Lea con Vittorio Gassman
Film corale, certo, ma non col­lettivo come lo spagnolo La col­mena. Scola è ancora sotto shock ripensando al '68, terminologia compresa, nonostante fosse certa­mente un rosso da cucciolo, lui «pecora nera» dei ricchi di Trevi­co. E continua a togliersi qualche sfizio antico, sgomitando, in un copione scritto con la figlia Silvia, Giacomo e Furio Scarpelli, per imporre certe irresistibili frecciate contro i papà-mostri (ovvio, erano ex hippies strafatti d'afghano ne­ro e dunque allevatori di eroinomani). Proprio approdando, però, a Giorgio Tirabassi (il be­lushiano Francesco, che vien dalla comunità di recupero), o passando attraverso le sorpren­denti performance di Lea Gramsdorff, futura novizia (colpa di «mam­ma» Sandrelli o del suo volto da Vermeer?) e Marie Gillain (che non ne può più di set italiani e scappa visibilmente al­trove, dopo l'assolo di Giannini) possiamo co­struirci un itinerario al­ternativo alla cena per­ché Scola, come al solito, è abile abbastanza da rifinire i particolari e da incantarsi sui dettagli della storia (a costo di aprir buchi narrativi come sbadigli). Perché questo è il bello dell'umorista e di ogni satira riuscita: prendere in giro, attraverso i dettagli, anche i pregiudizi, le ossessioni e la cru­deltà dell'autore, tracciare una di­rettrice di fuga (i duetti Merli/Ma­scia, Antonio Catania/Rolando Ravello, Chan Song Kuk, le sue fo­to e i videogame magici) dal con­solatorio, triste, pessimista e con­servatore Scola, liberandoci dal suo basso continuo: «è così - ora che sappiamo cosa fu il comuni­smo - sarà sempre così, che ci pos­siamo fare?». Meglio la ragione grigia della passione fiammeg­giante, dirà Fanny Ardant rinun­ciando alla fuga. Ma l'uomo dal parrucchino in bocca forse farà pazzie gay... Meglio essere educa­ti coi poveri e maleducati con le amiche, pensa un quindicenne abbandonando la festeggiata al ta­volo del compleanno. Ma chi li capisce i giovani del volontariato?



source: il manifesto