"Il sillabario visivo di Lea"

"Il sillabario visivo di Lea"
Ventiquattro parole-opere per mille e una storia


Raffaella Venturi
(L'Unione Sarda, 1 dicembre 2017)

C'è qualcosa che lega "Lexikon", la delicata mostra di Lea Gramsdorff, a quel gioiello della letteratura italiana che è "Sillabari" di Goffredo Parise. Perché è un sillabario visivo, quello che questa attrice, pittrice e regista ha inscenato dentro alla Spazio (In)Visibile di Cagliari, lavorando su una manciata di parole prese tal quali dal dizionario di italiano, scandagliando dentro e fuori di sé. Emergono parole rilucenti nei loro ovvi significati, poi negli spostamenti di senso che la meravigliosa lingua italiana conferisce mediante le accezioni. Sono lì, davanti a chi osserva, piccoli quadri in 3D che rappresentano pochi sostantivi, qualche verbo, nessun aggettivo. Eppure, quelle poche parole, racchiuse, affioranti, sconfinanti dalle loro rispettive opere, sembra che contengano tutte le altre, senz'altro molte delle altre, «parole assenti che si muovono su pareti bianche», come scrive nella sua poetica presentazione il curatore Efisio Carbone. E combinandole insieme, queste 24 parole-opere, darebbero origine a mille e una storia, nella ricaduta sghemba dei loro significati, nelle combinazioni di senso che possono originare.

È una mostra raffinata, fatta da un’artista-entomologa che non si tira indietro dal mettere al microscopio il proprio vissuto e il proprio inconscio, perché questo è il lavoro dell’artista. E che dice molto anche sulle donne. È infatti anche una mostra molto femminile, piena di grazia e ingenuità, di stupore per le tautologie realizzate, che non hanno l’ironia di Magritte, che mette lì una pipa e scrive che quella non è una pipa, ma hanno la volontà di raccontare. Le piccole opere bianche si dispongono come stazioni di meditazione: ci si sofferma davanti a “paura”, “amore”, “sesso”, “musica”, “teatro”, “madre”, “figlia”, “io”, “padre”; c’è anche “Dio”, poi “Sardegna”, c’è “cane”, “casa”, “mondo”; c’è la fila dei verbi: fare, sognare, credere, avere, volere, essere, poi , nella parete opposta, da solo, aggrappato alla parete dell’animo di tutti, c’è “mancare”. Perché questa è senz'altro anche una mostra sulla mancanza. A cosa equivalga la mancanza, ciascuno lo sa dentro di sé, ed è forse “mancare” la parola-opera che tende a incenerire tutte le altre, che scava e rimescola di più, che butta in terra, stropicciate, tutte le altre parole, come le pagine di dizionario che Lea ha appallottolato e gettato sul pavimento.