Mentre Dio riposa


"Mentre Dio riposa"
(testo di Maura Picciau)




Chissà se piacerebbero al Piccolo Principe, il timido abitante dell’asteroide B612, i pianeti di Lea Gramsdorff…
Forse si sentirebbe a casa, il biondo e poetico ragazzo: troverebbe camini di vulcano da spazzare, tramonti da osservare, spunterebbe anche un fiore da accudire.
Infine, incontrerebbe gli umani, lontani e distratti forse, ma non ostili.

In Dal nulla, Lea Gramsdorff propone una visione affatto personale della creazione del mondo e della creazione artistica, quale si fa strada dentro di sé – in giornate e libertà spesso recintate – come un universo che nasce.
Dal nulla è un racconto pittorico teso e unitario, che lega le singole opere – tutte godibili
singolarmente – in una sequenza coerente ma libera, che affronta con allegro coraggio un tema complesso e antico: la ricerca di quella stanzetta tutta per sé, di quello spazio deputato al pensiero e all’arte che ognuno vorrebbe e quasi nessuno ha.

Va da sé che non di luogo fisico si tratta, ma piuttosto di una condizione di spirito necessaria a ritrovarsi e a re-inventare quel mondo esterno che ci reclama, talvolta ci sottrae a noi stessi, ma di cui ci nutriamo e di cui condividiamo il destino.
La creazione secondo Lea è un cinema in bianco e nero – come i fotogrammi di Méliès – che scandisce giornate lente segnate da un solo accadimento di portata immensa: si faccia luce, si separino le acque, si creino gli astri.
Strutture semplice e immutabili – irrevocabili, per certi aspetti – i pianeti di Lea insistono al centro di un quadrato: sono dischi o sono sfere? È un mondo piatto?

Pittura materica, le superfici della Gramsdorff presentano solchi, asperità e addensamenti: i pianeti di Lea hanno una loro orografia, che descrive – a distanze siderali – un paesaggio. Come i monti della Luna, che le disegnano la faccia. Mondi immaginari e rarefatti, gli astri della Gramsdorff gravitano sospesi e solitari in un vuoto latteo, nebbioso. D’un tratto però, la pittrice li richiama, li riporta a terra facendoli planare su un tavolo apparecchiato, li addomestica per l’ora di cena.

Che ciò non sempre sia indolore, ce lo dicono quelle scritte-titolo composte con i trasferibili, dove la mediazione di una grafia sintetica allontana la fatica emotiva dei fatti, del compromesso: l’artista che proietta universi ha bisogno anche lui di un piatto di minestra. Così il mondo-piatto – bianco come una stella, cavo come una scodella – diventa protagonista di piccole storie quotidiane, appartate e pudiche, dette con timbro fermo. Lea descrive ambienti silenziosi, percorsi da refoli d’aria che provocano eventi inattesi – cade una sedia, oscilla un lume – come se le cose nella casa avessero una vita segreta, sottilmente inquieta, vissuta all’insaputa di chi vi abita.

Se il firmamento si posa alla mia tavola, è certo che si muoverà indipendentemente da me: sarò solo commosso osservatore della creazione e delle sue leggi.
Dal brodo primordiale all’umanità sovrappopolata, la creazione di Lea procede con ironia: vuoto il piatto, vuota Lea; buio/luce come a teatro mentre dormono gli spettatori; piove acqua dal tetto, e si separa nella sala da bagno; si formano gli astri e si fermano a pranzo a casa.
Poi una mano premurosa accompagna la creazione della vita, quella vegetale e quella degli animali, ciò che, come noi, respira sotto il cielo.

Gli animali, che prendono la voce di Philip Larkin, cantore della loro libertà e intelligenza offese dalla nostra cecità: la Gramsdorff riporta a pennello le parole di Wires, con gesto delicato di appropriazione. Infine ecco l’uomo a popolare le terre: piccolo piccolo e anonimo, fatto di carta come le sue parole, ma insieme contento dei grandi numeri (Siamo in 155!).
Dire il proprio nome, tra tanti volti, non è semplice; l’Autoritratto è un’assenza, segnata di rosso.

Sei giorni per il creato, e poi il riposo.
Mille e una le possibilità di scelta per l’artista-creatore, il mondo quale lo conosciamo è solo un’ipotesi. Eppure, non riusciremmo a concepirlo concretamente diverso… Noi possiamo solo fantasticare, nella stanza tutta nostra, altre eventualità, mentre Dio tace.
Oppure riposa.

(Dal Nulla, 3-19 giugno 2010, Spazio P, Cagliari)
a cura di Maura Picciau