Nella Cripta di Santa Restituta le struggenti installazioni di Lea Gramsdorff e Simone Dulcis
Alessandra Menesini
(L'Unione Sarda, 25 settembre 2018)
Potenti quanto delicati, gli interventi di Lea Gramsdorff e Simone Dulcis nella cavernosa e splendida cripta di Santa Restituta. "Elegia" è un complesso di installazioni, omaggio alla memoria della città di Cagliari. Alle anime stratificate di un ipogeo che fu cava di calcare in età tardo punica, deposito di anfore, luogo di culto per secoli abbandonato. Intitolato a una santa berbera martirizzata le cui reliquie hanno varcato il mare per approdare in Sardegna. Mantenendo il potere taumaturgico di allontanare le malattie se è vero, come afferma il canonico Spano, che le madri facevano rotolare i figli nella loro polvere, per immunizzarli dal vaiolo. Hanno scrutato lo spazio, i due artisti, accompagnati in questa discesa dal curatore Efisio Carbone. Hanno segnato di blu, di azzurro, di celeste la pietra scavata, decorata, abrasa, stillante. E indicato un cammino fatto di dieci stazioni.
La prima è il muro paraschegge, trafitto da frammenti di un inoffensivo cd. Fragile scudo alle bombe del 1943 sganciate da venti B16 americani. Sta per terra, subito alla fine delle tortuose scale, un colossale rosario disposto intorno a una altrettanto colossale colonna. Cosa facevate, hanno chiesto gli autori a chi ha conosciuto le sirene degli allarmi, quando vi rintanavate qua sotto? Pregavamo, ha risposto qualcuno, ogni grano allontanava la paura. Fede, dunque, e la gratitudine per lo scampato pericolo negli ex vot appesi come gocce di una pioggia leggera davanti alla colonna nera del sacrificio. Una miriade di cornicette che racchiudono frammenti di pittura e lavori miniati preziosi, dolci, struggenti. Non poterono "Rendere Grazie" coloro che il rifugio non salvò, quei novantasei cui sono dedicate le albanelle piene di un liquido colorato con tutte le tonalità di un fiore, il Nontiscordardime. Vasetti ermetici, custodi delle lacrime. Straordinaria la sensibilità con cui la polvere della dimenticanza viene scossa, e il passato si fa vivido e i cuori si aprono alla luce, come avviene nella lunga tela (sette metri) appesa sull'altare maggiore. Divisa a metà, di sopra lo slancio verso il cielo, sotto le parole scritte sulla parete e riportate sul dipinto come fossero graffite.
L'Elegia nel genere classico greco e latino era un "lamento al suono del flauto". Sommesso, come il mormorio e le note che accompagnano il visitatore in un corridoio - intensamente blu - che sfocia in una nicchia abitata da un vecchio cavallino, giocattolo dei bimbi di guerra. Tracce umane, in una mappa resa comprensibile dalla scelta di una linea cromatica che tutto unifica, e pur non perdendo la sua essenza spirituale, in qualche modo conforta. È situata in un anfratto, la pila di libri che saldamente sembra reggere il soffitto. Baluardo di carta che, nota Efisio Carbone nel testo di presentazione, "si contrappone ai roghi dei totalitarismi". E infine ci sono gli "Abbracci", nel punto conclusivo di un giro che può essere condotto anche senza ordine, seguendo il blu. Le figurine scolpite sono bianche e serrate dentro una teca che sembra un fanale. O un faro?
L'opera, splendido ultimo appuntamento della rassegna Monumenti & Stelle orchestrata dall'Associazione Orientare, sarà visibile sino al 28 ottobre, in via Sant'Efisio 8.
Il 13 e il 15 dello stesso mese, la grande tela dipinta a quattro mani sarà ospitata allo Spazio (In)Visibile per le Giornate del Contemporaneo.