Il mondo-piatto per chi non ha prospettiva
di Maurizio Memoli
(Sardinews n. 6/2010)
Chiusa con successo la personale dell’artista italo-tedesca allo Spazio P di Cagliari
La galleria d’arte Spazio P di Cagliari (via Napoli) ha ospitato dal 3 al 19 giugno la mostra di pittura “Dal Nulla” dell’artista italo-tedesca Lea Gramsdorff. Attrice di cinema e teatro, autrice e pittrice, Lea sceglie per la sua terza personale, di affrontare la relazione tra il tema teosofico e universale della Creazione divina e quello della creatività d’artista. Non un atto di supponenza o “un peccato in superbia” quanto un insieme di giochi, esclusioni, rimandi e sovrapposizioni che propone un confronto accattivante e inquietante.
Nelle tele di Lea l’atto della Creazione diviene “minimo” e “grandioso” al tempo stesso. Lievemente ispirato alla retorica del racconto biblico, sacro, o profano, il mondo ri-creato da Lea assume i contorni dell’elegante semplicità delle cose terrene, dei desideri, dei sogni, delle inquietudini dell’artista (o del dio), volutamente
innocente davanti alla sua opera.
La creazione emerge dal contatto con il nulla, avviene “dal nulla”, ex nihilo dalla tela bianca, ed è prima di tutto un atto retorico, un’operazione di linguaggio (nulla è, fino a che non viene nominato, nemmeno il nulla stesso). La creazione contiene tutte le domande. L’opera creata, si parli di cosmo o di un quadro, porta in sé e ci svela il fatto che avrebbe potuto non essere, o essere in mille modi diversa. L’atto creativo, così, non è altro che un affamato divoratore del nulla, un tentativo di annichilire il nulla.
Lea Gramsdorff formula la sua “creazione sulla creazione” offrendoci un semplice piatto di minestra, apparso nella “stanza tutta per sé” rubata a Virginia Woolf, nel quale ogni cosa immaginata o desiderata può prendere forma e corso. Il luogo fisico (e non solo) dove ci porta l’artista è pieno “solo” di un piatto vuoto, all’interno del quale la fame di chi crea e immagina può materializzare qualsiasi cosa, da un brodo primordiale (che era cosa buona) all’umanità intera (che dovrebbe essere cosa buona). Proprio all’interno del piatto ha inizio la sequenza della Genesi, della creazione del Tutto (del mondo-tondo dove siamo e di un “mondo-piatto, per chi come me non ha il senso della prospettiva”, commenta Lea). Tenebre e luce, acqua e terra, astri e forze che muovono la natura, poi vegetali, animali e, infine, l’umanità.
Per Lea tutto “è iniziato come un gioco, un approccio ludico al tema della Genesi ricco di interrogativi, rebus, stranezze, credenze e verità. Quando sono arrivata al mondo dei vegetali, nel momento in cui la creazione diventava sempre meno astratta, è iniziata la crisi. Come se fossi entrata davvero nella sequenza della creazione, ovvero in grado di affrontare il momento topico della concezione dell’umanità, con tutte le domande del caso, allora ho sentito davvero il bisogno di semplificare, “umanizzare”, reificare, far diventare “cose”, le idee, le storie, le facce, le persone.
La solitudine che precede, ispira e muove l’atto creativo, si svela e si rivela all’artista che coglie se stesso in flagrante e rimane nudo, spogliato di ogni altro nobile intento o pretesto producendogli, invariabilmente, il senso d’imbarazzo. Sembrerebbe un atto di pura speculazione, eppure i quadri di Lea espongono questa nuova qualità della solitudine come il distacco austero dall’opera e dai suoi contenuti. Dopotutto come dice Roman Jakobson “ogni seria opera d’arte narra la genesi della propria creazione”.
Dopo aver generato l’umanità, in mezzo alla quale danza il cane ballerina (l’attrice, l’artista donna nominata così da Virginia Woolf in “una stanza tutta per sé”) con il suo improbabile tutù rosso, all’artista non rimane che auto-ritrarsi in un piccolo quadro, e così la Gramsdorff si disegna miniaturizzata, seduta di spalle e vestita di due righe rosse, immersa e circoscritta nel mondo-piatto-di-minestra da lei stessa creato, per poi ritirarsi, sparecchiare la tavola, e sparire nella domanda collettiva sul perché siamo, perché creiamo e perché siamo questo e non tutte le altre possibilità possibili.
Una bella mostra, di grande forza concettuale quanto di essenziale linearità formale. I tondi, i quadrati, gli angoli, gli imbuti di luce, si “rifleggono” in una “teoria” di quadri uno affianco all’altro, uno nell’altro come l’umanità che siamo e che Lea rappresenta nella creatività quotidiana che ci tocca di esprimere e praticare, negli atti semplici del vivere, del mangiare, del bere, del voler bene.
Nelle tele di Lea l’atto della Creazione diviene “minimo” e “grandioso” al tempo stesso. Lievemente ispirato alla retorica del racconto biblico, sacro, o profano, il mondo ri-creato da Lea assume i contorni dell’elegante semplicità delle cose terrene, dei desideri, dei sogni, delle inquietudini dell’artista (o del dio), volutamente
innocente davanti alla sua opera.
La creazione emerge dal contatto con il nulla, avviene “dal nulla”, ex nihilo dalla tela bianca, ed è prima di tutto un atto retorico, un’operazione di linguaggio (nulla è, fino a che non viene nominato, nemmeno il nulla stesso). La creazione contiene tutte le domande. L’opera creata, si parli di cosmo o di un quadro, porta in sé e ci svela il fatto che avrebbe potuto non essere, o essere in mille modi diversa. L’atto creativo, così, non è altro che un affamato divoratore del nulla, un tentativo di annichilire il nulla.
Lea Gramsdorff formula la sua “creazione sulla creazione” offrendoci un semplice piatto di minestra, apparso nella “stanza tutta per sé” rubata a Virginia Woolf, nel quale ogni cosa immaginata o desiderata può prendere forma e corso. Il luogo fisico (e non solo) dove ci porta l’artista è pieno “solo” di un piatto vuoto, all’interno del quale la fame di chi crea e immagina può materializzare qualsiasi cosa, da un brodo primordiale (che era cosa buona) all’umanità intera (che dovrebbe essere cosa buona). Proprio all’interno del piatto ha inizio la sequenza della Genesi, della creazione del Tutto (del mondo-tondo dove siamo e di un “mondo-piatto, per chi come me non ha il senso della prospettiva”, commenta Lea). Tenebre e luce, acqua e terra, astri e forze che muovono la natura, poi vegetali, animali e, infine, l’umanità.
Per Lea tutto “è iniziato come un gioco, un approccio ludico al tema della Genesi ricco di interrogativi, rebus, stranezze, credenze e verità. Quando sono arrivata al mondo dei vegetali, nel momento in cui la creazione diventava sempre meno astratta, è iniziata la crisi. Come se fossi entrata davvero nella sequenza della creazione, ovvero in grado di affrontare il momento topico della concezione dell’umanità, con tutte le domande del caso, allora ho sentito davvero il bisogno di semplificare, “umanizzare”, reificare, far diventare “cose”, le idee, le storie, le facce, le persone.
La solitudine che precede, ispira e muove l’atto creativo, si svela e si rivela all’artista che coglie se stesso in flagrante e rimane nudo, spogliato di ogni altro nobile intento o pretesto producendogli, invariabilmente, il senso d’imbarazzo. Sembrerebbe un atto di pura speculazione, eppure i quadri di Lea espongono questa nuova qualità della solitudine come il distacco austero dall’opera e dai suoi contenuti. Dopotutto come dice Roman Jakobson “ogni seria opera d’arte narra la genesi della propria creazione”.
Dopo aver generato l’umanità, in mezzo alla quale danza il cane ballerina (l’attrice, l’artista donna nominata così da Virginia Woolf in “una stanza tutta per sé”) con il suo improbabile tutù rosso, all’artista non rimane che auto-ritrarsi in un piccolo quadro, e così la Gramsdorff si disegna miniaturizzata, seduta di spalle e vestita di due righe rosse, immersa e circoscritta nel mondo-piatto-di-minestra da lei stessa creato, per poi ritirarsi, sparecchiare la tavola, e sparire nella domanda collettiva sul perché siamo, perché creiamo e perché siamo questo e non tutte le altre possibilità possibili.
Una bella mostra, di grande forza concettuale quanto di essenziale linearità formale. I tondi, i quadrati, gli angoli, gli imbuti di luce, si “rifleggono” in una “teoria” di quadri uno affianco all’altro, uno nell’altro come l’umanità che siamo e che Lea rappresenta nella creatività quotidiana che ci tocca di esprimere e praticare, negli atti semplici del vivere, del mangiare, del bere, del voler bene.
source: SardiNews