(testo di Giorgio Pellegrini)
Innanzitutto è uno sguardo dall'alto. Altitudine statica però, contemplativa e concentrica di un mandala o di un oblò di dirigibile o di una mongolfiera appena spostata da zefiri gentili, più che dinamica e aeropittorica visione futurista sfrecciante.
Non insomma - come si dice - a volo d'uccello Lea Gramsdorff vede le cose e le disegna colorate ma forse meglio, a sogno di volatile trasognato, di un Garuda che plana lento e oppiaceo tutt'intorno o di quel suadente Loplop, creatura volante dallo sguardo ceruleo dell'avifauna surreale del grande Max Ernst.
E in alto poi, che ci piaccia oppure no, c'è il nord o settentrione. Di là viene ed è sempre venuto il brivido dopo il tuono, le fantasie romantiche e tutti i colori della notte e dell'anima. Caleidoscopio di emozioni che mutano la realtà senza cancellarla, fondo di bottiglia come una
magica lente per guardarci attraverso e capire solo alla fine, con il cuore e non solo con gli occhi, cosa si vede.
Così vede Cagliari Lea Gramsdorff. E ne coglie subito, con acuto sguardo settentrionale, come Lawrence o come Junger, l'intima africanità mediterranea dell'aspetto urbano, denso di architetture addizionate e spazi angusti: tutto confuso in un assolato cubismo biancogiallastro con ciuffi di palme, verdi al sole e bianche alla luna. E da quella parte il mare, nero di notte o di un enorme azzurro trasparente, come una macchia lirica di astrazione oppure sobria linea turchina, di confine, a chiudere il reticolo gentile - kleeiano - che preme sulla spiaggia inurbata. Quando non è prigioniero, limaccioso ma con pesci e tutto, del porto canale e dei suoi containers, allegri però, questi.
E della gente infine, stretta tra quel mare e le architetture abbarbicate della città, si vedono - dall'alto - solo le teste: si sente, dal nord, il chiasso. Rumore assordante di ghiaia rimestata nel cavo amplificante dello stadio, incanalata nella ripida arteria commerciale, spalmata sulla terrazza del Bastione o ad affollare la battigia sino a ingoiarsi mare e orizzonte insieme. Sembra dipanarsi appena quella folla, sotto una pioggia di petali vermigli, zittita - pare - dal lucore dorato del Sacro, solo intorno all'aureolato, venerato nostro Santo di maggio che risplende, sotto quello sguardo settentrionale, come una specie di idolo fenicio.
"La Cagliari di Lea"
(calendario 2008, Arti Grafiche Pisano)