LEXIKON consiste in una serie di opere dedicate ad altrettante parole a cui l’artista Lea Gramsdorff lega passi importanti della sua esistenza. Sono pietre miliari del vissuto, elementi che creano connessioni tra l’Io e il mondo, forse tanto comuni da passare sotto i nostri occhi, o per la nostra voce, rapide e troppo leggere. Ecco quindi una riflessione sulla potenza metaforica della parola che ha il compito costante di caricarsi del vissuto di ciascuno di noi. Un linguaggio comune per infiniti significati: cosa ci lega, cosa ci allontana, cosa ci rende comunemente diversi.
Le parole: scrigni che raccolgono una realtà isolata e la trasformano in un momento da antologia; maghi che mutano la faccia della realtà, la impreziosiscono al punto da renderla memorabile e le offrono un posto nella biblioteca dei ricordi. "Ogni esistenza è tale grazie al rapporto osmotico fra parola ed evento, in cui la prima riveste il secondo con l'abito di gala." (Muriel Barbery)
Ma ci sono, aggiungiamo noi, anche parole che segnano il rimpianto e allora l’abito indossato non è più di gala ma di lutto; ci sono poi, parole in divenire a cui il ricordo o i ricordi che vi si ancorano sono mobili, parole che parlano di quotidianità che profumano di casa. Parole che ancora si devono comporre o parole le cui lettere sbiadiscono ogni giorno di più in quel grande tesauro che moltissime o pochissime che siano contiene, perde, scrive e ritrova pagine che incolonnano, ramificano, collegano in sistemi emozionali multi dimensionali la nostra mente con i simboli che, come umani, abbiamo istintivamente costruito.
Lea Gramsdorff conosce bene il potere delle parole, un ponte tra il suo essere artista visiva e attrice di professione. Il lavoro è per questo di una coerenza straordinaria anche quando non son le parole ad essere protagoniste ma la loro rappresentazione in archetipi che svolgono l’importante e ardito compito di esaurire in piccolo numero le infinite possibilità comunicative dell’opera. Parliamo di sedie, tavoli, lampade, piccoli elementi domestici in grado d’innescare processi associativi sorprendenti. Una simbologia capace di universalizzarsi negli elementi di carte nautiche su cui tracciare percorsi per esodi metaforici. Ora, dopo tanto peregrinare, il pensiero dell’artista ritrova l’intimità di un gruppo di parole capaci di stare dentro un abbraccio; abbiamo quasi l’impressione che a un passo dal baratro del golfo mistico stia saggiando la preziosità o meno di un percorso in parte compiuto.
"E a cosa serve parlare, se già sai che gli altri non provano ciò che provi tu?" ebbe modo di dire in un'intervista Louise Bourgeois, sottolineando il suo legame con l'esistenzialismo di Sartre opposto allo strutturalismo di Lacan. Anche Lea Gramsdorff è più interessata all'esperienza della parola piuttosto che alla grammatica del linguaggio, ecco perché i suoi "combine-paintings" assemblano e stratificano elementi che parlano di Dio, Madre, Padre, Figlia, Cane, Paura, ma anche Sardegna, Casa, Teatro, per tacere delle parole assenti che si muovono su pareti bianche, sentite ma non pronunciate; non c'è consequenzialità, non c'è una corrispondenza di causa/effetto, ma solo un passo in-certo che, come dice la Dickinson, "è l'andatura dell'esperienza mentre ci muoviamo lungo l'asse della vita sentendo le stelle sul capo e sotto i piedi il mare."
(Efisio Carbone)