Cosimo Filigheddu
(SardegnaBlogger, 5 dicembre 2016)
Medea eroica e disperata, stirpe di maga e umana nella sua carne di donna. È il personaggio della tragedia greca che più di ogni altro esprime l’immortale capacità di introspezione psicologica di quella sorta di cerimonia religiosa e sociale dalla quale nel quinto secolo prima di Cristo scaturì il teatro nel senso in cui ancora lo intendiamo.
Interpretare o reinterpretare Euripide, scovandone la segreta universalità, è come scavare nei misteri brulicanti di una creazione, nel momento in cui sono state scoperti e rappresentati i meccanismi dell’animo umano. E che a muoverli sia la trascendenza del dio dei tragici o l’immanenza del dio moderno chiamato inconscio, è sempre una sfida terribile.
Lea Karen Gramsdorff l’ha vinta con questa sua Medea prodotta da Akroama e presentata al Parodi di Porto Torres nella bella rassegna organizzata dalla Compagnia Teatro Sassari.
L’artista l’ha scritta, interpretata e ne ha curato la regia affidando a Simeone Latini tutti i personaggi maschili: Creonte, Giasone ed Egeo. Ottima la prova dell’attore che si moltiplica nel re poco regale dal bicchiere in mano, dal respiro affannato e dal passo incerto; nel vile e irriconoscente marito fedifrago e borghesemente arrivista che delle glorie degli argonauti non ha più neppure memoria; e nell’inutilmente leale amico disposto a ospitare la maga in disgrazia. L’attrice, dal canto suo, si è incarnata nell’eroina esprimendo il vero senso della Medea di Euripide, cioè tutta la sofferenza esistenziale dei tempi di guerra totale in cui questa tragedia venne rappresentata per la prima volta, la Guerra del Peloponneso, quella che spaccò in due l’anima civile dell’Ellade. Un fatto epocale che nei risvolti speculativi e letterari ebbe l’effetto di spostare l’attenzione dalla guida divina imperscrutabile all’autodeterminazione dell’uomo, spesso meschino: almeno quanto lo è nella sua inutilità anche il Deus ex Machina che in Euripide sembra svolgere un ruolo di testimone, più che di guida delle azioni umane, come il dio degli altri tragici. Euripide e Lea Gramsdorff non sembrano avere molta fiducia nella giustizia divina. Dio è un espediente drammaturgico presente sulla scena, utile a disciplinarla ma non a determinare gli eventi o a suscitare un senso mistico.
E in questa Medea, del tutto euripidea pur tra i divani bianchi di un salotto moderno, il dio è umano: il maschio debole, opportunista, meschino, vittima di passioni banali; e la donna forte nella immane sofferenza del suo conflitto interiore, un aspetto psicologico reso dalla ottima recitazione della Gramsdorff, sorprendente nel continuo variare dai toni classici della tragedia a quelli più congeniali al contesto borghese di una Corinto contemporanea dove questa versione è stata ambientata.