di Marco Catola
(cinemainvisibile.it)
Lino Capolicchio, dopo l'esordio di Pugili (1995), torna dietro la macchina da presa e sceglie di raccontare la storia delle sorelle Manzoni, Vittoria e Matilde, e del loro rapporto con il mitico e inarrivabile padre, Alessandro.
Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Cesare Garboli e dal racconto di Natalia Ginzburg, "La famiglia Manzoni", Diario di Matilde Manzoni è un film coraggioso e controcorrente che in un'epoca di monopolio digitale e di fast-food dei sentimenti si erge ad anacronistico paladino di un cinema d'altri tempi che nessuno fa più (e che forse nessuno vede più). Pochi movimenti di macchina, estremo rigore e tanto sentimento. Un cinema di facce,
di stile e di atmosfera. Un cinema che se ne frega dei clichés, un cinema che scardina il conformismo dilagante, un cinema che osa. Capolicchio segue caparbiamente il suo percorso stilistico senza perdersi in fronzoli, analizza l'oggetto narrativo dal doppio punto di vista femminile e filiale (che rivela forse una affinità autobiografica), ama senza riserve la sua triste e sfortunata eroina ed ha il coraggio di mostrare l'altra faccia del genio. Una faccia che nessuno vorrebbe vedere: Manzoni è il grande scrittore che tutti conosciamo ma anche il padre insensibile ed assente (non lo si vede mai se non di spalle!) di una sedicenne in cerca d'affetto e sul punto di morte. Capolicchio sfugge alla tentazione narcisistica (si ritaglia il piccolo ruolo di D'Azeglio) tipica dell'attore che passa dietro la macchina da presa, rifiuta la visione cartolinesca e patinata alla Ivory, prende le distanze dalla dimensione zeffirellianamente estetizzante e preferisce accostarsi al fulgore verista del Bellocchio di La balia e della Campion di Ritratto di signora.
Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Cesare Garboli e dal racconto di Natalia Ginzburg, "La famiglia Manzoni", Diario di Matilde Manzoni è un film coraggioso e controcorrente che in un'epoca di monopolio digitale e di fast-food dei sentimenti si erge ad anacronistico paladino di un cinema d'altri tempi che nessuno fa più (e che forse nessuno vede più). Pochi movimenti di macchina, estremo rigore e tanto sentimento. Un cinema di facce,
di stile e di atmosfera. Un cinema che se ne frega dei clichés, un cinema che scardina il conformismo dilagante, un cinema che osa. Capolicchio segue caparbiamente il suo percorso stilistico senza perdersi in fronzoli, analizza l'oggetto narrativo dal doppio punto di vista femminile e filiale (che rivela forse una affinità autobiografica), ama senza riserve la sua triste e sfortunata eroina ed ha il coraggio di mostrare l'altra faccia del genio. Una faccia che nessuno vorrebbe vedere: Manzoni è il grande scrittore che tutti conosciamo ma anche il padre insensibile ed assente (non lo si vede mai se non di spalle!) di una sedicenne in cerca d'affetto e sul punto di morte. Capolicchio sfugge alla tentazione narcisistica (si ritaglia il piccolo ruolo di D'Azeglio) tipica dell'attore che passa dietro la macchina da presa, rifiuta la visione cartolinesca e patinata alla Ivory, prende le distanze dalla dimensione zeffirellianamente estetizzante e preferisce accostarsi al fulgore verista del Bellocchio di La balia e della Campion di Ritratto di signora.
Impressionante la ricercatezza del particolare sia nelle scenografie che nei costumi, naturale e vivida la fotografia, ricercato ma opinabile il cast. Se le due sorelle Manzoni sono incarnate pressoché perfettamente dalle facce antiche e pure di Ludovica Andò (Matilde) e Lea Gramsdorff (Vittoria), è anche vero che la Clery con labbra cadenti e sguardo maliardo, Alessio Boni con bel faccino inespressivo da fotoromanzo e soprattutto Urbano Barberini con ignobile naso rifatto e recitazione da cane riescono spesso a rovinare il quadro generale.
Regia: Lino Capolicchio
Sceneggiatura: Lino Capolicchio, Bruno Roberti, Caterina Rogani
Cast: Ludovica Andò, Lea Gramsdorff, Urbano Barberini, Corinne Clery, Laura Betti, Luca Calvani, Lino Capolicchio, Luciano Federico, Gianluca Magni, Vania Della Bidia
Fotografia: Ennio Guarnieri
Montaggio: Enzo Meniconi
Costumi: Andrea Viotti
Origine: Italia, 2002
Durata: 98'
source: www.cinemainvisibile.it