WAVING GOODBYE
Il saluto di Lea Gramsdorff al suo quartiere
(presentazione di Efisio Carboni)
La malinconia di un saluto che s'intreccia a sentimenti di nostalgia e speranza accompagna l'ultima serie di opere di Lea Gramsdorff. Il lavoro ha avuto origine durante una residenza al Ghetto, spazio dedicato all'arte nel Quartiere di Castello di Cagliari, progetto curato da Simona Campus e da me in tempi pandemici. L'artista esortava il pubblico a dipingere con i colori del quartiere piccole finestre che poi venivano installate lungo il percorso del suo studio temporaneo nel cuore della cosiddetta Sala dei Cannoni.
Scrigni di mirabilia, queste finestre contengono la vita e si affacciano al vuoto come stelle scintillanti in uno spazio sostanzialmente silenzioso e buio. La planimetria tracciata a memoria lungo le pareti dell'(In)visibile è forse l'omaggio più bello che un artista possa fare al quartiere che ne ha raccolto lacrime e gioie. Lea frammenta ancora una volta la sua esistenza in numerose parti e ne sparge le ceneri al vento, rivendica come artista il diritto al nomadismo, la casa è il teatro e teatro è il mondo, una valigia, l'amore certo tenuto per mano, i pesi sulle spalle alleggerite da robuste ali: quello che conta nessuno può portarlo via perché è inafferrabile.
Si tratta, quindi, di un’idea sedimentata che ha preso forma lentamente e che ha trovato nel recente spostamento di residenza dell'artista motivo per essere condotta a un suo sviluppo chiarificatore.
L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose, scrive Calvino nelle sue "Città Invisibili"; in effetti le finestre che si aprono nel quartiere di Lea sono segni sedimentati del suo passaggio. Ogni volta che ci fermiamo in un luogo lasciamo una parte di noi che si sedimenta e stratifica con il passato mentre ramifica nel presente. Attraversare quei vicoli un'ultima volta, da abitante, assume differenti significati rispetto alle infinite volte precedenti. È il momento in cui è il cuore a guardare, non più l'occhio, le cose assumono un altro senso, lo spazio si deforma in metafore che fioriscono sui muri, la luce danza, il tempo attende, il vento parla, la poesia scorre.
Quanto ho vissuto, con chi ho vissuto, come ho vissuto.
Gli occhi si sollevano a cercare il cielo oltre le strette maglie dei vicoli storici: ecco le finestre che salutano. Sono piccoli contenitori di vite parallele che Lea Gramsdorff raccoglie e minuziosamente sistema con cura. Minuscoli teatri di immanente e trascendente, caleidoscopici, difficilmente penetrabili, come l'anima complessa che ognuno di noi porta dentro.
Una coerenza sbalorditiva incarna l'intera produzione di Lea Gramsdorff come artista visiva il cui processo sarà chiarito solo in una futura antologica. Le finestre sono un altro frammento di questa storia che prima o poi sarà raccolta in un unico volume.
Intanto concentriamoci sulle piccole preziose finestre senza paura di voltarle per scoprire ciò che l'occhio non vede ma che comunque esiste, seguiamole lungo le vie, come arterie pulsanti, scopriamo la finestra vuota pronta ad accogliere altre vite, arriviamo ai margini dei bastioni, lungo i muri perimetrali dello Spazio (In)visibile, che è certamente la casa di tutti noi perché contiene l'amore per l'arte.