(testo di Licia Lisei)
La Macelleria dell’Arte
La macelleria è il luogo osceno dell’esposizione e della vendita delle carni dei miti animali sacrificati di cui (ancora) ci cibiamo. La “Macelleria dell’Arte” è una metafora che evoca il farsi carne e merce delle opere d’arte: ma ammesso che i pezzi d’Autore siano davvero carne e sangue d’artista, sarà possibile considerare l’opera d’arte una merce come le altre e determinarne il costo (al kg o al metro) secondo parametri di mercato? E se l’opera d’arte è una merce come le altre, è destinata al semplice consumo o possiede ancora un’aura che la distingue da tutti gli altri oggetti prodotti? E se caratteristica di un’opera d’arte è il suo farsi linguaggio connotativo ed evocativo,
qual è il messaggio?
qual è il messaggio?
Buy Buy Butchery
… Dove sono andati Edward II, Emmelyn la mansueta, Pietro il Rosso e la dolce Pea che amava Proust?
Tracce labili, segni minimi della loro esistenza trascorsa sono presenti nella Sala delle RIMEMBRANZE: impronte, collari, campanacci, funi da traino… poveri oggetti della vita quotidiana dimenticati o abbandonati poco prima del transito estremo, dalla pienezza della vita alla livida sponda di Thanatos. Sono frammenti e relitti che evocano uno degli aspetti più sconvolgenti del modus vivendi dell’homo technologicus contemporaneo (ex sapiens-sapiens) e cioè l’oscena pratica della sarcofagia e della produzione industriale di carne animale per il consumo alimentare.
Nella sala dei RICORDI, oggetti plastici tridimensionali (contenitori, tabernacoli) dall’aspetto austero, caratterizzati dalla tecnica del combine-painting e dalla sequenzialità ripetitiva, rievocano le vite perdute non in funzione della loro rappresentazione ma della perpetuazione della memoria, nelle varie accezioni del ricordare, rimembrare, rammentare, rievocare. Essi mostrano, come scrigni aperti, il loro contenuto: un grumo materico, un lacerto, un frammento. La reiterazione del contenitore ligneo, del significante, risulta funzionale alla focalizzazione e al rafforzamento del significato. I RICORDI si presentano come opere concettuali, moduli spazio-temporali, topoi etico-filosofici, in cui si condensano, si coagulano e cristallizzano, pur in forme astratte e avulse da ogni riferimento naturalistico, organi, sangue, linfa e umori nei quali lo spirito dell’animale sacrificato si materializza ed appare come reliquia sacrificale.
I materiali di recupero, di cui i RICORDI sono costituiti, si incastrano e si fondono; le loro superfici sono trattate e modificate da materiali fluidi e colore (nero bitume soprattutto) che, ora opacizzante ora brillante, è attraversato da guizzi di luce, nella parte più interna dell’oggetto. Il colore fa da sfondo e contorno all’elemento centrale della composizione, al frammento che evoca e significa, insieme, l’Organico e lo Spirituale.
Codici alfanumerici, variamente disposti, ripetitivi fino a divenire una vera e propria texture della superficie, connotano altri e più profondi significati. La riduzione degli animali a COSA, a CARNE da mattatoio, a pura QUANTITÀ pesabile e misurabile, a frammento-organico-in-vaschetta-di-plastica, neutro e asettico che distrae il nostro pensiero dall’orrore di cui siamo complici e che fa di noi acquirenti e consumatori consenzienti.
Ciascun RICORDO si manifesta quale oggetto poetico, non mimetico, piuttosto evocativo, fonte di emozione e di pathos, motivo di meditazione. La sequenza dei nomi propri, degli appellativi e soprannomi che completa ogni singolo RICORDO, si pone in antitesi alla quantità numerica; questa denuncia le proporzioni straordinarie e quasi impensabili dell’ecatombe; quelli sottolineano l’irripetibile unicità di ogni essere vivente, dotato o meno di intelligenza razionale e suggerisce l’atrocità del suo destino: la schiavitù, la tortura, la deportazione, il colpo al cuore, la perforazione del cranio, le piaghe aperte, lo smembramento, l’esposizione pubblica dei corpi…
Il RICORDO sacralizza le reliquie, tramanda il nome, conserva la “TRACCIA” del passaggio dell’animale nella vita conferendogli una dimensione spirituale, salvando la sua anima, o la sua essenza, dall’oblio.
L’arte può conferire a queste creature una forma di immortalità altrimenti negata.
Questa oscena industria della morte che si alimenta della nostra assuefazione all’abbondanza e allo spreco, è organica alla condizione umana dell’era tecnologica. Si trova, cioè, in perfetta consonanza con la nostra propensione al consumo senza limiti e senza remore, con i gesti ripetitivi, passivi, automatici che ci caratterizzano allorché acquistiamo e consumiamo.
In un mondo in cui tutto è alienato, reificato e mercificato è possibile proporre qualche analogia tra il consumo della carne e il consumo della cultura e dell’arte? L’homo oeconomicus (l’altra faccia dell’homo technologicus) è naturalmente portato alla speculazione (s’intende finanziaria, non filosofica), anche nel campo dell’arte: l’opera d’arte è da lui assimilata, senza ombra di dubbio, ad una attività finanziaria, poiché tutto è riducibile a merce, e la questione del Gusto o del piacere estetico, del contenuto etico, della ricerca dei Valori spirituali passano decisamente in secondo piano, per non dire che sono nullificati del tutto, come elementi insignificanti. Il mercato dell’arte, oggi, è un esempio di come le grandi oligarchie si siano inglobate anche la cultura e la produzione artistica e dunque, la mercificazione dell’arte è perfettamente congrua alla mercificazione della vita tout court. Ma la mercificazione dell’arte, così come la mercificazione dei corpi, non avviene in un’ottica di libero mercato, né di libera scelta individuale, ma si presenta come espressione di potere e gerarchia sociale all’interno di meccanismi di controllo delle menti e dei corpi.
Un intervento come questo proposto da Lea Gramsdorff, Marilena Pitturru, Simone Dulcis e il mitico, invisibile, T.H.E. Forest vuole essere un antidoto contro il veleno che sta facendo di noi il paese dei Lotofagi di omerica memoria: esseri immemori, idioti inconsapevoli, automi anestetizzati, sudditi succubi.
Il mitico (e invisibile) T.H.E. Forest ironizza un po’ scettico sull’efficacia dell’allestimento, e tuttavia non se ne tira indietro condividendo con allegria il lavoro. E pertanto, alla domanda: “Why do you want to do that?”, ha risposto sorridendo: “To see what it looks like!”.
Buy Buy Butchery è un’installazione presentata in occasione di Fabbric.Art – Ricerca ad Arte, Roma, 5-6 marzo 2011, in collaborazione con in/visibile di Cagliari, con la consulenza artistica di Licia Lisei
Chi è T.H.E. Forest?
Colui che si fa chiamare T.H.E. Forest è un’entità misteriosa e inafferrabile, un personaggio mitico che appare e scompare imprevedibilmente.
Quando egli appare il gruppo subisce una straordinaria metamorfosi, poiché diviene un monstrum con quattro teste e otto mani, e l’antro in cui si riunisce si trasforma in una Wunderkammer. Ed ecco che la materia si spiritualizza, la forma diviene concetto, l’opera trasmette l’emozione e il pensiero: è l’Epifania dell’Arte.